Secondo l’Osservatorio del Politecnico di Milano sono circa 3,6 milioni di lavoratori da remoto. Mariano Corso, responsabile scientifico dello studio: «Bisogna cambiare modalità di lavoro». Positivo l’impatto su ambiente e conti aziendali

Lo smart working rallenta: nel 2022 in Italia i lavoratori da remoto sono circa 3,6 milioni, quasi 500 mila in meno rispetto allo scorso anno. Un calo legato soprattutto al mondo della pubblica amministrazione e della Pmi, mentre si rileva una leggera crescita nelle grandi imprese che, con 1,84 milioni di lavoratori, impiegano quasi la metà degli smart worker complessivi. Per il prossimo anno si prevede un lieve aumento fino a 3,63 milioni, grazie al consolidamento dei modelli di lavoro agile nelle grandi imprese e a un’ipotesi di incremento nel settore pubblico.

E’ quanto emerge dalla ricerca annuale dell’Osservatorio Smart Working della School of Management del Politecnico di Milano secondo cui la modalità è ormai presente nel 91% delle grandi imprese italiane (era l’81% nel 2021), con in media 9,5 giorni di lavoro da remoto al mese e progetti che quasi sempre agiscono su tutte le leve che caratterizzano questo modello.

Opposta, invece, la tendenza riscontrata tra le Pmi in cui il lavoro agile è sceso dal 53% al 48% delle realtà, per circa 4,5 giorni al mese. A frenare in queste realtà – secondo la ricerca – è la cultura organizzativa che privilegia il controllo della presenza e percepisce lo Smart Working come una soluzione di emergenza. Rallenta anche la diffusione nella PA, che passa dal 67% al 57% degli Enti, con in media 8 giorni di lavoro da remoto al mese.

«La diffusione delle iniziative di Smart Working negli ultimi due anni ha portato numerose organizzazioni e persone a confrontarsi con un modo di lavorare radicalmente diverso rispetto a quello adottato prima della pandemia – spiega Mariano Corso, Responsabile scientifico dell’Osservatorio Smart Working -. Spesso, tuttavia, l’applicazione delle nuove modalità di lavoro si è concretizzata con l’introduzione del solo lavoro da remoto, che ha consentito di gestire le emergenze e supportare il work-life balance delle persone, ma che non rappresenta un ripensamento del modello di organizzazione del lavoro. È il momento di riflettere su cosa sia il “vero Smart Working”, che deve essere l’occasione per attuare un cambiamento più profondo, incentrato sul lavoro per obiettivi e una digitalizzazione intelligente delle attività».

Come a dire che serve un cambiamento profondo dei modelli di lavoro.

Nel frattempo, però, i lavoratori possono godere di un impatto economicamente positivo: chi lavoro da remoto due giorni a settimana risparmia in media circa 1.000 euro all’anno per effetto della diminuzione dei costi di trasporto. Nella stessa ipotesi di due giorni alla settimana di lavoro da remoto l’aumento dei costi dei consumi domestici di luce e gas può incidere però per 400 euro l’anno riducendo il risparmio complessivo a una media di 600 euro l’anno. Per le aziende il risparmio, frutto dell’ottimizzazione degli spazio e la riduzione dei consumi si traduce in circa 2.500 euro a lavoratore.

«Nel complesso lo Smart Working comporta una generale riduzione dei costi sia per i lavoratori sia per le aziende che lo adottano – spiega Fiorella Crespi, Direttrice dell’Osservatorio Smart Working -. In questo momento di grave tensione su costi energetici e inflazione, questo risparmio potrebbe essere impiegato per fronteggiare la crisi e sostenere la redditività aziendale e il potere d’acquisto dei lavoratori. Le organizzazioni potrebbero valutare di restituire ai lavoratori una parte del risparmio ottenuto, ma nella nostra rilevazione oggi solo il 13% delle aziende del campione prevede per i lavoratori che lavorano da remoto dei bonus o rimborsi che non siano buoni pasto».

Da non sottovalutare anche l’impatto ambientale: lo smart working permette di ridurre le emissioni di circa 450 Kg annui per persona grazie a minori spostamenti e meno consumi nelle sedi di lavoro tradizionali. Considerando il numero degli smart worker attuali, l’Osservatorio del Polimi calcola a livello di sistema Paese minori emissioni annue pari a 1.500.000 tonnellate di CO2. Una quantità pari a quella assorbita da una superficie boschiva grande 8 volte il comune di Milano.