Il sequel diretto da Joseph Kosinski, con Tom Cruise, ha sei nomination
Autostrada per la zona di pericolo. Cantava così Kenny Loggins in Danger Zone nel primo Top Gun di Tony Scott, ti porterò dritto nella Danger Zone. Partiamo da qui, con i titoli di testa esaltanti che ricalcano quelli del 1986 e ci consegnano subito nelle mani di quei due piloti, amici, che negli anni ‘90 ci hanno definitivamente rovesciati dentro la più alta scarica d’esuberanza che solo il cinema sa difendere. Torna il comandante Mitchell in una forma straordinaria, un Tom Cruise che fa della regola la sua più alta alleata per la demolizione della regola stessa.
Questo non è un film da Oscar
Un uomo che ha difeso questo film così duramente da non piegarsi all’accanimento straziante della pandemia, scegliendo di rimandare a lungo l’uscita nelle sale per evitare le piattaforme. Ha avuto ragione. Ha riempito le sale di tutto il mondo con un incasso stellare che ha segnato la storia e riportato le persone al cinema.Top Gun: Maverick – il sequel diretto da Joseph Kosinski – ha sei nomination agli Oscar 2023, tra cui miglior film, miglior sceneggiatura, miglior montaggio, ma c’è qualcuno che dice: questo non è un film da Oscar. Perché?
Fa volare, letteralmente. Vengono i brividi, sudano le mani. Maverick è un’esperienza anche fisica. Per quel tempo, oltre a quel mondo, oltre alla magia generata dal gruppo dei più qualificati Top Gun, non c’è altro. Il mondo è lì. Si piange, si ride, si ha paura, si esulta, si spera, si sogna. E non importa se si tratta di un mondo presagibile, è bello anche questo, il cinema fa un grande lavoro anche dentro le dinamiche che ti fanno cadere dentro una risalita certa. Con la consapevolezza del ritorno.
Mav, ai suoi Top Gun insegna anche e soprattutto a tornare: la missione è vinta quando si ha la capacità di tornare, altrimenti è un fallimento. E non è quello che ha fatto Cruise? È tornato, forte come un tempo, anche di più. Ci dice dell’amicizia, dell’amore, dei valori, dei limiti molto più di quanto non riescano a fare tutti quei film che fondano la loro essenza sulle norme del fare bene, nel rispetto di tutto e di tutti e non comunicano nulla, non tramandano niente. Cruise rompe le regole nel film e nella vita, ci regala un’ora e mezza di emozione pura, non c’è lui di là e noi al di qua, siamo tutti insieme dentro una missione ancora più grande di quella della Marina: stiamo credendo in qualcosa. Eppure, Cruise – nonostante questo – non è candidato come miglior attore protagonista. Cosa doveva fare più di questo? Cosa non è bastato nella performance di un uomo che crede in quello che fa con tanta serietà da sottoporsi lui per primo a un addestramento rigidissimo per l’autenticità delle riprese? Cosa deve fare di più un uomo che ha saputo ancora e sempre farci appassionare alla vita e tutte le sue demarcazioni da oltrepassare per andare in alto, sempre più in alto, dandoci la rarissima opportunità di non pensare, per un po’, solo vivere.